Omicidio e giustizia ai tempi di Omero
L'eccidio dei Proci, a seguito del ritorno di Odisseo a Itaca, rappresenta l'ordinaria amministrazione della giustizia privata ai tempi di Omero.
Odisseo risolve il problema degli usurpatori e dei traditori alla radice, d'altronde ha il pieno diritto per farlo: egli è un re e alcuni uomini hanno sfruttato la sua assenza per sottrargli il potere. Ma chi definiva la gestione della giustizia cittadina?
Un assaggio di questo problema ci viene offerto da Eva Cantarella che, nel saggio: "Itaca. Eroi, donne, potere fra vendetta e diritto", si sofferma sul rapporto che i Greci avevano con Dike, la giustizia, appunto.
Si suppone che, a orchestrare la prassi giuridica, ci fosse un basileus, supportato da un collegio di anziani, chiamato a dirimere le contese e a decidere le liti in materia di vendetta. L'esempio riportato nel saggio fa riferimento al massacro volontario di Odisseo, diretto responsabile dell'omicidio, pienamente cosciente, consapevole e a seguito di una scelta ponderata e razionale. Non è tanto (o meglio non solo) l'ira a guidarlo ma un senso di giustizia personale per cui nessuno si sogna di mandare il re di Itaca a processo. Proprio lui che si è preso ciò che era suo per diritto.
Ma non tutti i casi sono uguali. Esiste infatti l'aspetto della volontarietà, cioè di quell'azione compiuta razionalmente, e talvolta con premeditazione, che evidenzia la lucidità e l'intenzionalità con cui si è ucciso. Al contrario, se l'atto era dettato dall'impulso del momento l'omicidio era ritenuto involontario.
A conferma di ciò, la Cantarella riporta alcuni estratti delle leggi draconiane il cui obiettivo era quello di "regolarizzare" la pratica della vendetta privata attraverso un processo pubblico; sarebbe stato infatti possibile mettere a morte l'omicida solo se ritenuto colpevole volontario, in tutti gli altri casi la pena sarebbe stata l'esilio.
Non mancano infatti nelle opere omeriche riferimenti ai più disparati motivi che possono condurre un uomo all'omicidio: la volontà degli Dei, una costrizione psichica, un impulso passionale e Ate (la vendetta) che agisce subdolamente, inducendo l'uomo a errare. Perciò chi agisce mentre è preda di Ate è inconsapevole e per questo dichiarato non colpevole.
Ad Ate si affianca il concetto più umano di hamartia che si riferisce a quello che oggi definiamo omicidio colposo, ovvero chi causa la morte di un altro senza volerlo ma che sconta comunque la sua punizione, esattamente come avviene nel mondo omerico in cui, volontario o no, l'errore si paga.
Eppure chi può individuarne con certezza la ragione?
La famosa Elena, motivo della guerra di Troia, ha agito per volontà di Afrodite, fuggendo con Paride; tuttavia, anche se la sua azione è stata manovrata e dettata dalle volontà dalla Dea, è su di lei che gravano tutte le conseguenze. Sebbene sia innocente dal punto di vista morale ha comunque un debito nei confronti della società. In questo caso insieme ad Ate, come già accennato, agisce hamartia, l'errore umano causato dalla fragilità e dalla fallibilità della sua condizione.
Inizia così ad aprirsi un varco nella regolazione della giustizia, per cui si inizia a valutare l'azione come atto e volontà. La sanzione della vergogna continuerà a esistere ancora per molto tempo, affiancata tuttavia a un' istituzione pubblica che ne garantisce l'applicazione.
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