Apologia di una lingua inutile







La lingua latina è uno strumento prezioso, una fondamentale risorsa per conoscerci meglio, per fissare nella mente le nostre azioni, per potersi rileggere, scoprendosi simili e diversi a se stessi e agli altri. Il saggio di Nicola Gardini Viva il latino. Storie e bellezza di una lingua inutile è un viaggio attraverso la Bellezza delle parole che offre molteplici spunti di riflessione e materiale di approfondimento per gli addetti ai lavori ma anche (e soprattutto) per coloro che ancora si chiedono quale sia lo scopo di studiare il latino.


Eppure lo parliamo tutti i giorni; è nel nostro corredo linguistico: ortografia, sintassi, lessico. Il latino è anche nel nostro turpiloquio, che oggi riconosciamo come trasgressivo e sovversivo dell'ordine prestabilito, eppure è proprio attraverso di esso che l'uomo romano definiva la propria identità sessuale e il suo desiderio di definire i ruoli sociali. Le parole d'amore provengono dalla stessa matrice. Lo sanno bene i poeti elegiaci: per loro questo sentimento è una scelta di vita totalizzante, è un'esperienza distruttiva e travolgente nel momento in cui la donna amata diviene la domina, unica padrona e signora della vita e della morte del poeta. Il linguaggio dell'amore si esprime in Catullo nella ricerca dei basia (fra le altre cose) ma anche nell'invettiva. Il celebre poeta latino, infatti, viene definito da Alfonso Traina un estroverso che proietta costantemente fuori di sé, nell'amore, nell'amicizia e soprattutto nell'odio, i suoi sentimenti in quanto attacca implacabilmente tutti coloro che cercano di attentare omnia nostra bona, ovvero Lesbia, con parole e insulti incandescenti. Catullo da buon uomo romano condanna la rottura del foedus amoris, ovvero il patto che si innesta fra due persone che si amano, e la degenerazione del sentimento. Properzio invece non cerca una soluzione al suo sentimento assoluto, ma lo vive, nonostante esso sia un morbus cioè una vera e propria malattia del corpo e dello spirito. Eppure non può farne a meno; questo amor toxicum è veleno perché il tradimento è inevitabile, eppure la fedeltà al valore dell'amore acquista una dimensione di accettazione del proprio destino e della propria condizione: laus in amore mori, laus altera si datur uno posse frui [bello (è) morire amando, ancora più bello godere di un unico (amore)].

Come si evince è bastato poco per poter avere un dialogo a tutto tondo con due autori vissuti a cavallo fra il I sec.a.C.-I sec. d.C. che hanno una diversa concezione dello stesso sentimento. È stato un po' come parlare con due amici che ci esprimono, pur nella loro diversità, un'opinione che possiamo decidere o no di appoggiare. È stato un modo così naturale per farci avvicinare a questi antichi (che poi così lontani non sono) ed è uno degli scopi del libro: connetterci a questa humanitas così viva ed effervescente, educare il nostro spirito ai sentimenti e agli istinti con esigenza e pretesa di attualità, trasmettere e reinterpretare il senso della giustizia nei secoli, dare un senso alla storia umana. Il latino dunque non serve a nulla se non a conoscere se stessi e da dove veniamo... e scusate se è poco (!). 

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