Luna di pioggia, un racconto d'amore (?).



Luna di pioggia è un racconto di Colette, pubblicato nel 1940.

L'ho acquistato qualche mese fa durante l'ultimo salone del libro a Torino (qui, vi illustro la mia refurtiva) e a una prima lettura, mi lasciò piuttosto indifferente. Tuttavia, l'ho recuperato ieri e l'ho riletto con uno spirito diverso. Mi sono resa conto di averlo giudicato con troppa fretta e di essere stata superficiale.

La scrittrice francese comincia in medias res:

«Posso farlo», mi disse l'anziana signorina, «sì, posso benissimo riportarvi io stessa, ogni volta, la copia dattilografata, se preferite che non sia affidata alla posta».

Il racconto viene introdotto da uno scambio di battute fra questa anziana signorina (quasi un ossimoro, in quanto si tratta di una donna non sposata, per l'appunto signorina, non più giovanissima) e Colette. 

È la voce della scrittrice che ci guida e talora, diviene, inavvertitamente, protagonista di questo racconto nel racconto. In quanto, da una parte c'è  Colette che vede riemergere prepotentemente i suoi ricordi dal passato, e dall'altro il triste presente delle sorelle Barberet.

L'espediente letterario, che viene utilizzato per introdurre questa simmetria,  è l'appartamento della signorina Rosita Barberet, che la scrittrice ha raggiunto per consegnare il  suo  manoscritto da dattilografare.
Questo luogo ha qualcosa di familiare per Colette che, dopo una breve occhiata di circospezione, riconoscerà l'appartamento dove aveva vissuto anni prima, nel quale aveva sofferto per un amore tormentato. (Colette ha vissuto i suoi ultimi anni a Palais Royal a Parigi e fu seppellita a Père-Lachaise).
Adesso, lì, ci abitano Rosita e sua sorella Délia, una giovane misteriosa in uno stato di perenne turbamento e angoscia.
Subito, Colette riconosce i sintomi del mal d'amore e incuriosita, comincia a recarsi più spesso dalle signorine Barberet.


L'abilità di Colette sta nel prendere un argomento ampiamente sfruttato: l'Amore, e indagare, in modo inaspettato, sulle più intime ripercussioni di questo sentimento.

Una forza magica e attrattiva che ci lega irrazionalmente a qualcuno, tanto da affidare ad entità e a forze superiori un messaggio da recapitargli.

Colette "convoca" un uomo. Un uomo che non riesce a dimenticare, che le ha lacerato l'anima. Invoca il suo nome nella mente. Ancora e ancora. Fino allo sfinimento. Fino a superare (forse) e infrangere quell'incantesimo d'amore.


L'alba mi vide coperta di quelle lacrime abbondanti che versiamo nel sonno, e che scorrono ancora quando, ormai svegli, non sappiamo risalire alla loro fonte. Il nome mille volte ripetuto si spegneva, perdeva la sua virtù notturna. Dentro di me gli dissi addio, ricacciai la sua eco fino al piccolo appartamento dove avevo amato soffrire, e che abbandonavo ad altre esistenze femminili [...].

Dèlia fa lo stesso. Anche il suo rito magico ha successo. Ma avrà un epilogo inaspettatamente noir.




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