Incomunicabilità e isolamento: il treno.



Si chiudono ermeticamente le porte dietro di me. Accaldata e col fiatone, guardo l'orario: 7.56. Due minuti alla partenza. Riprendo fiato e cerco un posto, qualsiasi posto.
Sospiro. Il rumore sordo delle porte quando si richiudono è come un ordine perentorio: mi prende la voglia di scappare. Penso che voglio scendere, mentre fisso il marciapiede attraverso il vetro. Eppure rimango seduta, i pugni chiusi sulle ginocchia e, respiro. 
Mi concentro a guardare fuori dal finestrino: i binari che si intersecano, la città grigia fino alla campagna gialla.
Di mattina sono silenziosa, probabilmente perché sto continuando il sogno che non ho potuto finire. Non ho tanta voglia di spiccicare parola col vicino: lui parla. Una valanga di informazioni mi travolge; io ascolto, annuisco, sorrido, non ci capisco niente.
Il dipinto Compartment C, Car 293 di Edward Hopper, scelto come copertina per il romanzo 6.41 di Jean Philippe Blondel, ritrae una donna seduta in un vagone del treno.

Hopper-CompartmentC-dipinto
Edward Hopper. Compartment C, Car 293. Olio su tela, 1938
Dal finestrino dello scompartimento, si intravede un ponte che rende riconoscibile la delimitazione fra il paesaggio naturale e la civiltà. Anche la figura femminile sembra essere ripiegata su se stessa: icappello a tesa larga fa ombra sul volto e cela gli occhi della viaggiatrice, assorta nei suoi pensieri, ma al tempo stesso rilassata e concentrata. La donna è seduta fra il finestrino e il corridoio, ma il suo isolamento non è totale; anzi, il gioco dei colori crea un continuum fra l'interno del vagone, un luogo protetto e sicuro, e l'esterno.
Edward Hopper, Vagone. Olio su tela, 1965.
Stessa dimensione per il dipinto Vagone, in cui l'ambiente dello scompartimento è completamento isolato. L'unico contatto con il mondo esterno è dato dalla luce che filtra  ed irrompe attraverso i finestrini, ciò che c'è oltre di essi è al di fuori del quadro. Gli sguardi dei passeggeri non si incrociano, evidenziando quell'idea di isolamento e incomunicabilità fra le persone. 

Ma un incontro casuale, potrebbe cambiare tutto. E' quello che accade nel best-seller di Jean Philippe Blondel, quando in un treno per Parigi alle 6.41 del mattino, nello stesso vagone si incontrano Cècile Duffaut e Philippe Leduc.
I due si riconoscono. Subito. Ma non dicono una parola, rimangono muti fino a quando Philippe, in uno slancio di coraggio, fa cadere in terra la sua biro:


 -Mi scusi, io...ho...cioè, la biro è...

-Prego.

-Ah ecco...l'ho trovata...Lei...scusi, ma lei per caso non si chiama Cècile Duffaut? 

-Mergey. 

-Scusi? 

-Mergey. E' il mio nome da sposata. Cècile Mergey. 

 -Ah sì sì, certo. Mi spiace. Io sono... 

-So chi è lei. 


Un dialogo balbettante e frammentato da un freddo imbarazzo. Cècile non ha mai perdonato Philippe per ciò che successe quella notte, a Londra, ventisei anni prima...


Ha detto proprio così. 

Che gli dispiace.  

E io gli ho risposto grazie. 
 
Mi dispiace.  

Che stupida.  


  O non rispondi niente, ti avviluppi nella tua dignità, dai un'occhiata di disprezzo all'odioso personaggio che ha osato rivolgerti parola; oppure accetti le sue scuse e rilanci la conversazione, e come stai dopo tutto questo tempo, sei sposato, hai figli, un lavoro, e bè, vedi che ce l'hai fatta. E invece io, come un'idiota, resto lì a metà strada. 



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