Alda Merini: la pazza della porta accanto



È una domenica di ottobre del 1965, una donna sfascia una sedia addosso a suo marito che, allertati i soccorsi, firmerà i documenti per far internare la moglie.

Questo episodio, successivamente ridimensionato dalla primogenita della coppia, segna l'inizio dell'andirivieni ventennale della poetessa Alda Merini dentro e fuori le mura del manicomio.

Ricostruire questa fase della sua vita è estremamente complesso a causa del processo di lobotomizzazione al quale fu costretta, ai numerosi psicofarmaci che dovette ingerire e agli elettroshock che progressivamente le cancelleranno i ricordi; infatti, in più di un'occasione, la poetessa durante le interviste narrerà alcuni episodi del suo passato che saranno talmente tanto deformati da faticare a distinguere fra realtà e finzione.  

Prima della legge Basaglia che chiude definitivamente i manicomi, numerosissimi erano i casi in cui veniva effettuati dei TSO per motivi futili o peggio come "risoluzione" nociva alle questioni dell'anima, ai danni di donne e uomini che spesso erano reietti, "scarti" della società, persone che non si uniformavano alle norme e alle rigide regole sociali. In definitiva nei manicomi trovavano "dimora" orfani, ragazze madri, mogli ripudiate, epilettici...

Da alcuni referti medici sembra che alla poetessa fosse stata diagnosticata la schizofrenia, secondo altri referti si fa riferimento a un disturbo bipolare, associato alla depressione. Tuttavia nessuna di queste diagnosi è mai stata confermata, certo è che la stessa poetessa ci racconta di essere sempre stata profondamente sensibile; il suo sentire e percepire la realtà era talmente profondo e acuto che talvolta era così esasperante da farla sentire sola e incompresa.

La Merini inoltre vive una fase storica di profondo cambiamento, di cui fu lei stessa l'artefice grazie alla sua personalità ma anche alla sua spiccata sensualità.
La poetessa non aveva mai fatto mistero del proprio appetito sessuale, lo dimostrano alcune foto di nudo (piuttosto criticate) come espressione della sua femminilità.
Nelle sue poesie inoltre parla molto spesso liberamente di desiderio carnale e di masturbazione, aspetto piuttosto perturbante e destabilizzante negli anni '70 (del Novecento!).
In un'intervista racconta persino di aver subito la sterilizzazione, dopo aver partorito la sua quarta e quindi ultima figlia; questa azione avviata contro la sua volontà nel manicomio ha contribuito a segnare la sua psiche già profondamente indebolita.
La morte del primo marito e la successiva relazione con un anziano poeta pugliese, che morirà ben presto anche lui, il rapporto sempre più fragile con le figlie più piccole, che le erano state portate via dopo la nascita, non attuiscono il suo senso di ribellione, di solitudine che esprime attraverso la scrittura: unica medicina doloris, unico sollievo che le permette di non farsi annientare dalla sofferenza.
La sublimazione del dolore attraverso la poesia come espressione spontanea dell' "io" irrequieto e ribelle è ciò che porta la Merini all'inaspettato successo negli anni '90.
La storia del suo vissuto e del suo talento soffocato ritorna alla luce, diventando icona di una donna liberata dopo una lunga lotta contro una società che voleva cambiarla e ingabbiare la sua dirompente personalità. 
Le sue numerose collane, gli strati indumenti colorati, gli orecchini vistosi, come anche l'arredamento della sua casa milanese di Ripa di Porta Ticinese 47, dove diventa iconico il muro tappezzato da appunti scritti con il rossetto, rappresentano uno dei modi con cui Alda ritorna padrona della propria individualità.
L'appartamento sui Navigli, occupato dalla famiglia Merini nel 1945 dopo un bombardamento, diventa un tempio di ricordi e memorie diluite dal tempo e dalla sua potenza visionaria.
La sua poesia autentica e "fisica" evidenzia quella carnalità e quella passionalità mai nascosta, dove non esiste alcuna tolleranza per le maschere, proprio perché il poeta è colui che sacrifica in modo assoluto se stesso e dove una parte del proprio essere viene esposta il pubblico, come il suo dolore.

"La follia si esplica nel momento in cui ci si accorge che l'uomo è cattivo": la parabola della poetessa sembra ricordarci un po' l'epilogo pirandelliano del romanzo: "Uno, nessuno e centomila", dove il protagonista sceglie di ritirarsi lontano dalla società, senza più il nome , né identità: autentico per se stesso, pazzo agli occhi degli altri.

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