Le inspiegabili ragioni dietro la metamorfosi di Circe

 



Si fermarono davanti alle porte della Dea dei bei riccioli, sentivano Circe che dentro con voce bella cantava, intenta un ordito grande, immortale, come le Dee sanno farli, sottili e pieni di grazia e di luce. (Traduzione di Aurelio Privitera)


Nell’immaginario collettivo Circe è una figura ambigua, bifronte. Una creatura al limite fra l’umano e il divino, che comunica con gli animali, esperta in pozioni magiche e in metamorfosi.

La sua apparizione viene circoscritta a una delle tappe del viaggio di Odisseo e ciò non è sufficiente a rappresentare appieno questo personaggio a cui la scrittrice Madeline Miller raggiunge nuova linfa.

Prima Dea, poi umana, zia di Medea, amante di Odisseo, nipote del titano Prometeo, figlia di Helios, madre di Telegono, Circe vanta un curriculum non da poco. Eppure ciò non riesce a scalfire lo stereotipo di pericolosa femme fatale che, dopo aver accolto i marinai di Odisseo e averli dissetati, li trasforma in maiali. 

Omero non spiega le ragioni che inducono la maga a effettuare questa metamorfosi, invece Madeline Miller cerca di ricostruire le vicende divine e poi umane di Circe, cercando di andare oltre quella classificazione di donne o sante o peccatrici.

Un’operazione non inedita, in quanto già Cesare Pavese ne aveva svelato la ben più profonda sensibilità. Circe è la figlia del titano Helios, cresciuta nella sua ombra, alla ricerca costante dell’approvazione di suo padre. Silenziosa, talvolta invisibile, scopre di avere il talento della magia già da adolescente: è l'infatuazione (prima) e la gelosia (dopo) che le permettono di iniziare il percorso verso il tuo vero sé. 

Tuttavia, è proprio questa trasgressione che la porta istintivamente a praticare la magia ma, al tempo stesso, la conduce alla punizione di Zeus che sceglie come punizione per lei l'esilio. Nella narrazione della Miller, Circe si descrive come una donna bruttina perché si percepisce, si guarda attraverso gli occhi divini che la circondano, anche la sua voce, descritta come bella e armoniosa dalle orecchie mortali, viene diminuita dalle divinità e dai semidei che la ritengono invece flebile e gracchiante. 

In un contesto familiare che alcuni oggi definirebbero tossico, Circe sente di non appartenere: la solitudine nell'isola di Eea, il confinamento forzato obbligato, la lontananza dal mondo divino la riconnettono con la potenza della natura. 

Ma quindi che cosa rende Circe una maga così sensibile? Lei che aveva così tanto sofferto perché sceglie di infliggere dolore agli uomini di Odisseo? 

Ripercorrendo i versi omerici leggiamo che la maga invita i marinai nella sua casa offre loro formaggio, farina d'orzo, miele, vino al quale mescola dei farmaca, cioè dei veleni, che tramutano il loro corpo in quello di animali, la mente però rimane vigile: il pensiero umano non si piega. La metamorfosi  d'altronde è solo un cambiamento della morphè e quindi della forma. Tuttavia l’incontro con Odisseo cambia tutto: la maga viene solo apparentemente sconfitta in furbizia da re di Itaca; in realtà è lei che gli  fa dimenticare Itaca per un anno. 

Circe riconosce in lui un suo pari: un  uomo astuto, brillante, abili in astuzie e sotterfugi che spesso le parla, come si parlerebbe ad un uomo, capace di comprendere l’onore, la lealtà e la responsabilità verso se stesso, i suoi uomini e la sua patria.

Ma quindi che cosa hanno fatto gli uomini di Odisseo per meritarsi tale punizione? Nell’Odissea non ci viene spiegato, d’altronde secondo l’ottica degli antichi, gli dei hanno ragioni e motivi imperscrutabili: le divinità fanno degli uomini ciò che vogliono. Tuttavia è proprio da questo episodio che si definisce la figura tradizionale di Circe come maga capricciosa, volubile, crudele e ingiusta nei confronti degli uomini. 

La Miller invece mette in campo una violenza perpetrata ai danni di Circe da alcuni marinai che, in passato, avevano visitato quell'isola e che avevano trovato rifugio presso la sua casa.  La condizione di Circe era infatti assolutamente inaccettabile: una donna che vive su un’isola, in autonomia, da sola è la preda perfetta per questo gruppo di irriconoscenti e ingrati che, nella trasformazione, rivelano il loro vero volto, manifestando i tratti ferini corrispondenti della loro vera essenza.

Dunque la nomea di Circe viene macchiata soprattutto dalla tradizione post-omerica e spetta alle voci contemporanee riscattarla dalle maldicenze, rivelando che fu la paura maschile della sua indipendenza a costarle l’appellativo di “strega”.


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