L'esigenza di narrare


Sin dalla notte dei tempi, gli uomini si ritrovavano intorno al fuoco per ripararsi dal freddo pungente, per proteggersi da attacchi animali, ma anche per cementare i rapporti sociali e raccontarsi delle storie che tenessero vive le loro tradizioni, usi, costumi e rendesse imperituro il ricordo dei loro genitori, nonni... La nascita del racconto coincide insomma con gli albori della civiltà; infatti a pensarci bene, non è necessario spingerci così lontani nel passato perché oggi siamo immersi nelle narrazioni: “il carattere narrativo di tutto ciò che ci circonda è confermato da quanto accade, per esempio, in un’aula di tribunale durante un processo. Un processo è una narrazione polifonica, una sorta di dramma teatrale dove ogni attore recita una parte, cioè narra una storia". Non solo, anche un canale radiofonico, una canzone, una pubblicità, un video su YouTube, una story su Instagram veicola un messaggio, un'emozione, racconta la storia di un attimo, svela la nostra esistenza e parla di noi. Eppure l'enorme divario fra la narrazione veicolata da un libro, da una serie tv, da un'opera d'arte e quella invece di un post su Instagram sta proprio nella complessità del messaggio divulgato. Siamo sempre più abituati a recepire e a comunicare con contenuti frammentati e granulari, pillole che, nel lungo corso, potrebbero portarci a concepire pensieri sempre più ristretti e claustrofobici. Manca quel senso di immersione liberatoria come di chi si lascia fluttuare fra le pieghe di una storia inedita per conoscersi e riconoscersi. 


D'altronde la stessa etimologia del verbo narrare viene ricostruita dalla lingua indoeuropea in cui la radice era gnarro, comune in latino e nel greco antico al verbo cognosco e gignosko. Lo stesso vale per le lingue germaniche in cui la tradizione etimologica si biforca per formare il verbo to know e kennen (a sua volta la radice kan/ken rinvia al verbo can-tare e subito pensiamo alla tradizione dei rapsodi che in Grecia tramandavano e narravano le imprese degli eroi). Quindi il verbo narrare appartiene alla famiglia etimologica di conoscere: narro e quindi so, so e dunque sono. 

Però... se narrare equivale a conoscere... perché siamo così reticenti difronte a quello che è lo strumento di narrazione per eccellenza, sua Maestà: Il Libro? 

Questa riflessione viene affrontata da Gino Roncaglia nel suo saggio: "L'età della frammentazione. Cultura del libro e scuola digitale", edito per Laterza, che verrà prossimamente ampliato. L'autore in una sezione dedicata riflette sul ruolo fondamentale che le biblioteche scolastiche potrebbero rivestire nelle istituzioni scolastiche. Sarebbe opportuno ripensare al ruolo della biblioteca come luogo vivo e animato, come crocevia di incontri intra e interscolastici, come laboratorio di sperimentazione a tutto tondo che garantisca la formazione dell'uomo e del cittadino. Biblioteca, al di là della definizione etimologica, non è solo un contenitore di libri, ma di idee, proposte e novità, aperta al mondo che cambia ed evolve. Roncaglia suggerisce alle biblioteche scolastiche di dotarsi non solo dei classici ma anche di materiali come graphic novel, manga, musica, serie tv, libri in formato digitale... che possano essere consultati, visionati, presi in prestito al fine di includere in modo trasversale i gusti, gli interessi, le esigenze di un numero sempre più ampio di studenti. Nel Piano Nazionale Scuola Digitale si fa riferimento allo sviluppo della capacità di governare e valorizzare la produzione e distribuzione di conoscenza, nonchè la creatività digitale. Lo sviluppo di questo aspetto è il preambolo per la formazione del pensiero critico che passa attraverso l'acquisizione delle competenze di base e la biblioteca può diventare uno dei luoghi predisposti a tale scopo. L'autore tuttavia si interroga anche sulle modalità e sulle strategie da utilizzare... un luogo infatti per quanto ben attrezzato e accogliente non è sufficiente a invogliare alla lettura, cartacea o digitale che sia. Dunque si suggerisce l'esperienza della lettura aumentata (messa in pratica nel progetto https://thelivingbook.eu/it/) grazie alla quale si prevede la preparazione di attività, giochi, relazioni, forum online e offline che permettano ai ragazzi di interagire fra loro e con la storia. La creazione infatti di gruppi di lettura è sempre caldamente raccomandata purché l'insegnante faccia un passo indietro; lasci cioè lo spazio ai ragazzi per confrontarsi,  creando un ambiente inclusivo, con strumenti audiovisivi che facilitino la discussione, e funzionale alla conversazione libera dal giudizio o dall'aspettativa di una valutazione.  Il docente è dunque presente ma sullo sfondo, organizza e interviene solo quando è richiesta o è necessaria la sua presenza, lasciando quindi agli studenti il compito di organizzare l'andamento dell'incontro, di scegliere l'argomento da trattare e di creare metodi e strumenti funzionali a supportare il gruppo di lettura, che si riunisce con spirito libero e partecipativo. 

Ai tempi del Covid-19, riunirsi è ancora possibile, magari con la mascherina e tenendo le opportune distanze, e soprattutto riunirsi supportati da una storia in comune è il primo passo per creare comunità.

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