La crisi della letteratura contemporanea




Da sempre l'uomo sente l'esigenza ontologica di comunicare su brevi e lunghe distanze. Questo gli ha dato l'impulso di sviluppare strumenti via via sempre più sofisticati per accorciare questa lontananza, dalla lettera al telegrafo, dalla radio al telefono fino allo sviluppo della telematica. 

Con l'evoluzione del supporto scrittorio, è cambiato il linguaggio che adoperiamo, divenuto sempre più stringato ed essenziale; pensiamo al modalità del micro-blogging di Twitter, che prevede un cinguettio di poco più di 150 caratteri, che deve colpire e destare stupore, indignazione, sorpresa in poco più di qualche secondo. Meglio ancora se il messaggio è accompagnato da un'immagine altrettanto d'impatto. 
Si cerca a tutti i costi la trasversalità del pubblico e si abbassa in questo modo il livello dell'apporto culturale di quel messaggio che quindi non solo si semplifica, ma peggio si banalizza. Si può parlare quindi di comunicazione di qualità? Proprio questa velocità che ci permette di essere sempre connessi in rete, di sapere tutto in tempo reale e di maneggiare così tante informazioni, ci aliena dalla realtà e soprattutto induce a pensare, desiderare, pensare le stesse cose. Ci omologa e interrompe la sequenzialità della comunicazione. Eppure ne siamo circondati: i social network da Facebook a Twitter, da Instagram a WhatsApp sono un bene primario per l'uomo: “animale-sociale” che ha visto così modificare la propria intelligenza e adattare la comunicazione ai nuovi linguaggi: parola, scrittura e immagine divenute fondamentali per pubblicizzare se stessi, la propria attività e la propria vita.
Il linguaggio che ha da sempre un valore dialogico che si fonda sul valore della reciprocità e della relazione fra gli individui, non ha solo la finalità di trasferire le informazioni, ma ci dà anche la possibilità di capire, descrivere, interpretare il mondo circostante e di condividerne i cambiamenti. L'esigenza dell'uomo è quella di parlare e raccontare di sè, pensiamo per esempio al grande successo delle stories su Instagram, che rappresentano delle “finestre” momentanee che si aprono sulla vita di qualcuno e ci permettono di essere spettatori della loro realtà. Il web ha dilatato la nostra voglia di comunicare e ha per questo causato un ampliamento esponenziale della produzione di documenti che parlano di noi e contribuiscono alla creazione della nostra individualità. Una dilatazione e un'esigenza di story-telling che però ha un rapporto inversamente proporzionale con la qualità della materia narrata. 


Qualcuno diceva less is more, eppure nella società contemporanea siamo sottoposti a troppe informazioni, troppi desideri, troppe esigenze. Si è accennato al problema della qualità della comunicazione: nell'orizzonte editoriale, secondo le ultime stime ISTAT (2016), in Italia si pubblicano circa 60mila titoli l'anno per una popolazione di lettori pari a 25mila, in media un libro e mezzo per ogni lettore. I dati statistici però, se da un lato ci permettono di fotografare e di interpretare la realtà su base quantitativa, dall'altro non restituiscono l'aspetto qualitativo della letteratura prodotta negli anni zero, come li definisce Giulio Ferroni nell'agile saggio, edito da Laterza, Scritture a perdere. La letteratura degli anni zero. 
L'autore analizza con lucidità e acribia la crisi del romanzo, tradizionalmente detto, che diviene sempre più oggetto di frammentazione e soggetto al pensiero superficiale che diluisce il linguaggio al punto da renderlo vacuo e ripetitivo. Talvolta risulta faticosa persino la scelta lessicale che viene ridotta all'uso della stessa terminologia, eliminando lo sforzo di ricercare la parola giusta, dando vita a una lingua sempre più approssimativa fino alla definitiva atrofizzazione. Ferroni fa notare che per analizzare la letteratura dobbiamo partire dalla quotidianità, dall'esperienza per poi interrogarci sulle sue manifestazioni. Con la proliferazione dei reality show tendiamo a confondere fiction e non fiction, realtà e spettacolarizzazione della stessa, persino la morte e la malattia, dimensioni che pure fra le ultime generazioni sono state relegate ed emarginate rispetto al circuito socio-culturale, e non solo, con l'avanzare del grottesco e del trash, il linguaggio ha risentito di un progressivo impoverimento anche causato dai modelli e dagli influencer di opinabile spessore culturale, che eppure si fanno portavoce delle nuove generazioni, propugnando una comunicazione e un sentire “di pancia”. Ed è pur vero che tutto passa attraverso il corpo, ma la corporeità non è fatta solo dalle reazioni istintive, ma comporta anche il ripiegamento mentale e la riflessione. La testa d'altronde è una parte anatomica (!) che andrebbe allenata alla responsabilità del pensiero critico, sebbene -come fa notare Ferroni- l'attuale classe intellettuale fatichi a resistere alle intemperie dell'ignoranza.

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