Sull'obbligo ancestrale di ricambiare i doni ricevuti (o no).


Non hai ricambiato il mio piccolo dono, e già i cinque giorni dei Saturnali sono passati. Dunque non mi hai mandato né vasellame di argento Septiciano del valore di sei scripoli, né un tovagliolo, regalo di un piagnucoloso cliente, né un vaso rosso del sangue di tonno di Antipoli, né un vaso di piccoli fichi di Siria, né un piccolo cesto di olive raggrinzite del Piceno, onde poter dire che ti sei ricordato di me? Con le tue parole e il tuo volto benigno potrai ingannare gli altri: per me d’ora innanzi non sarai che uno smascherato ingannatore.  (Trad. di Giuseppe Norcio).
Epigrammata IV, 88.


Oggi, come in passato, non ricambiare un dono è un gesto di maleducazione: lo evidenzia senza mezzi termini, il poeta Marziale che, con graffiante ironia e schiettezza, accusa un tale di essere un cialtrone per non aver restituito la cortesia. Nella Roma antica vigeva il principio del do ut des che ha, alla base, una logica contrattuale che implica l'obbligatorietà del ricambiare. Il ricevente è tenuto a restituire il regalo in modo equivalente poiché, fino a quando non lo farà, sarà in una condizione di svantaggio o di debito. Impossibile tentare o anche solo pensare di svincolarsi da questa logica: chi non partecipa allo scambio di doni è automaticamente malvisto ed emarginato dalla societas. In particolare questo scambio avveniva durante le feste dei Saturnalia che si celebravano, ogni anno, durante il solstizio d'inverno (17 - 23 dicembre) in onore del dio Saturno. Una celebrazione che sembra ricondurre al nostro Natale in quanto era obbligatorio allestire un convivium publicum, alla fine del quale i commensali si scambiavano un brindisi e un saluto augurale. Non solo, anche all'interno delle domus venivano organizzati dei banchetti privati, allestiti con l'abundantia dei doni della terra e quanto di meglio si aveva da offrire. Terminato il pasto luculliano, ebbri di vino ci si abbandonava al gioco dei dadi, che la legge consentiva solo in quei giorni e talvolta si sconfinava anche in atti orgiastici. Inoltre, durante queste feste, si concedeva agli schiavi la massima libertà concessa, per cui i padroni stessi solevano imbandire un banchetto. Insomma, si vivevano quei giorni all'insegna della sregolatezza, dell'esagerazione: si sorteggiava il nome di colui che doveva dirigere il buon andamento della festa: il princeps Saturnalicius  e si sovvertivano o meglio si sospendevano le regole della morale e della società, con la finalità di ripristinare, anche se per pochi giorni, il senso di eguaglianza e di fratellanza umana, secondo il principio del semel in anno licet insanire. Era anche consuetudine scambiarsi doni d'ogni genere e d'ogni prezzo con l'obiettivo di rinsaldare i vincoli di reciprocità che legano gli individui fra loro. Questa teoria è stata applicata alla società contemporanea da Marcel Mauss nel saggio Il dono; infatti anche per noi il regalo è un’eccezione alla regola, in quanto la normalità è tenere le proprie cose per sé e ottenerne altre tramite l’acquisto o lo scambio esplicito. Il dono è una specie di ibrido: non è totalmente gratuito in quanto chi dona si aspetta un ricambio, ma al tempo stesso non ha esplicitamente scopo di lucro. Quindi perché? 
La risposta è stata già data qualche riga fa, ma va approfondita con la lettura del saggio che indaga e espone i risvolti antropologici di tutta la faccenda; ciò che emerge è che il dono implica libertà e fiducia, valori che sono alla base di tutti i rapporti umani. Per questo, cito testualmente dalla prefazione di Aime: “più l’altro è libero, più il fatto che ci donerà qualcosa avrà valore per noi quando ce lo darà”. Ogni oggetto possiede, secondo Mauss, un'anima, è una sorta di prolungamento di chi l'ha scelto e di chi lo riceverà. Riflettiamoci: quando regaliamo qualcosa a qualcuno, cercheremo un oggetto che tenga presente la nostra volontà ma anche i gusti del destinatario, dunque ci sarà un pezzo della sua e della nostra identità in un rapporto paritetico e virtuoso. Attenzione però... talvolta il dono può diventare un'arma di distruzione: un ritardo eccessivo o un dono di molto inferiore a quello ricevuto possono generare un’asimmetria nel rapporto. O ancora spesso quando si fa la carità ci si “mette in cuore in pace” ma si ferisce chi la riceve perché è umiliante in quanto il ricevente non può restituire. Il circolo virtuoso si spezza e viene a mancare l'atto del contraccambiare, ciò a lungo andare “dà vita a gerarchie sociali ed economiche che si trasformano inevitabilmente in rapporti di forza e trasforma il ricevente in debitore impotente”. 

Meditiamo, gente. Meditiamo.

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