La Saga di Ragnarr: lo scudo, la pelle, gli Eroi.






Una volta, da qualche parte, ho letto che il carattere dell'uomo è il suo destino, e si può dire che Ragnarr, interpretato dall'australiano Travis Fimmel e protagonista della serie Vikings, creata da Michael Hirst, incarni questo principio. Egli ci viene presentato come un novello Odisseo, affamato di curiositas: quella disposizione innata nell'essere umano o avventatezza o ancora sfrontata hybris che induce l'uomo a valicare i limiti della sua condizione, ad abbandonare la via certa per quella incerta.
Questa vena avventuriera non è evidentemente tangibile nel personaggio della Saga che ha subìto alcune modifiche nella serie, al fine di umanizzarlo e rendere più coinvolgente, puntata dopo puntata, l'evoluzione di questo "eroe" scisso fra la tradizione degli Dei e la nuova prospettiva cristiana, diviso fra l'amore per il fratello Rollo, storicamente attestato con il nome di Rollone, e il desiderio di rivalsa, conteso fra la shield-maiden Lagertha e la figlia di Sigfrido e Brunilde, Aslaug.
I personaggi del mito si intrecciano alle vicende storiche, non sempre con perfetta accuratezza; cerchiamo, quindi, di riassumere in poche battute le vicende storiche e di fare luce su alcune simmetrie "epiche".
La vicenda di Ragnarr è legata alla protostoria vichinga che si innesta su quanto stava avvenendo in Britannia, già nella metà del V sec., quando l'isola fu invasa da popolazioni sassoni, le quali, stanziatesi stabilmente alla fine di quel secolo, diedero vita a tre regni: Nothumbria a nord, Mercia nella zona centrale e Wessex ad occidente.
Nel 793 d.C., con il saccheggio del monastero di Lindisfarne a circa 70 miglia dall'attuale Edimburgo, i vichinghi irrompono nella storia di questo paese, guadagnandosi la nomea di pirati, razziatori. Solo nella seconda metà del IX sec., i Sassoni trovarono in Re Alfredo la guida militare, capace di affrontare la minaccia scandinava unendo le forze dei tre regni. Nel corso del X sec. l'Inghilterra si trovò unificata sotto i discendenti di Alfredo, ciò però non impedì agli Scandinavi di stanziarsi sulle coste inglesi, tanto che sotto la guida di Re Canuto: Inghilterra, Danimarca e Norvegia furono riuniti in un solo regno. La sua morte, nell'anno 1035, portò i sassoni alla riconquista della loro individualità, almeno fino al 1066 quando, il decesso di Edoardo il Confessore aprì la strada all'invasione normanna dell'isola. Solo nel 1201 l'età vichinga si concluderà con il fallimento di Magnus, re norvegese, di invadere l'Inghilterra. Ma la Storia non è tutto, se si accompagna al Mito.

Come si legge nell'introduzione al libro La saga di Ragnarr, edito per la prima volta da Iperborea nel 1993, deve essere certamente avvenuta una tessitura dei numerosi racconti, che ne hanno modificato l'assetto di una primitiva composizione scritta (è estremamente interessante la ricostruzione filologica accurata dello stemma codicum, volto a rintracciare la versione princeps della Saga e le sue "derivazioni"), per non parlare di un'evidente contaminazione con i modelli epici orientali. Leggendo questo agile e accurato volumetto, infatti, ho potuto constatare che esiste una matrice, un paradigma su cui si innestano racconti e leggende che attingono ad un patrimonio orale comune al bacino mediterraneo, oggetto di revisioni, ampliamenti, modifiche...

Manoscritto con segnatura NKS 1824 b 4° folio, contenente la redazione più recente della Saga.

Uno dei più antichi scaldi della tradizione norvegese fu Bragi Boddason il Vecchio (IX sec.) che, nel suo Ragnarsdrápa, fa riferimento alla descrizione del magnifico scudo dell'eroe scandinavo, istoriato con quattro scene della mitologia: l'attacco dei fratelli Hamdir e Sorli al re Jörmunrekkr, la leggendaria e infinita battaglia tra Heðinn e Hǫgni; la famosa pesca di Thor dell'enorme serpente di mare, Jörmungandr; la dea Gefjun che crea l'isola di Zelanda rimuovendo un pezzo di terra dalla Svezia.
Mi ha fatto inevitabilmente tornare alla mente il XVIII canto dell'Iliade, in gran parte dedicato alla descrizione delle armi di Achille. Lo scudo, in particolar modo, rotondo e orientaleggiante è diviso in cinque cerchi concentrici: fra i due centrali, in cui vi è la raffigurazione del cosmo, e l'ultimo che rappresenta Oceano che tutto avvolge, si svolge la vita degli uomini divisa fra scene di guerra e scene di pace. Nel famoso episodio omerico, lo scudo diviene l'emblema del passaggio dalla società arcaica, che vede nella guerra il principio di affermazione, alla cultura della pace. Lo stesso attaccamento al culto della guerra lo si può desumere dalle immagini sullo scudo di Ragnarr, su cui campeggia la devozione alla tradizione (non dimentichiamoci che il tetto del Valhalla è fatto di aurei scudi su cui sono raffigurate proprio scene belliche) e il ricorso al Mito come spiegazione dei fenomeni della realtà.

La contaminazione con la tradizione mediterranea emerge anche nell'episodio della fondazione di York (la quale rievoca le origini di Cartagine) da parte di Ivar, che nella Saga è il primo figlio di Ragnarr e Aslaug.
Il passo che propongo è la traduzione di Annibal Caro, tratta dal I libro dell'Eneide virgiliana:

vv. 365-368.
Giunsero ai luoghi laddove adesso tu scorgi
mura possenti, e sorgere la rocca della nuova Cartagine,
e acquistarono il suolo, dal nome del fatto Byrsa
quanto potessero recingere con una pelle di toro.

A parlare è Venere, la quale descrive a suo figlio Enea la grandezza della città che ha appena raggiunto, evidenziando l'ingegno e l'abilità della regina Didone, artefice di quell'"inganno". La leggenda, infatti, narra che i Fenici avrebbero pattuito con i Libici l'acquisto di un terreno quanto potessero recingere con una pelle di toro (byrsa, in fenicio, significa rocca ma i Greci la fecero derivare dalla loro parola che ha il significato di pelle) e che l'avrebbero poi tagliata in strisce sottilissime circondando tutto lo spazio corrispondente alla grande rocca della nuova città Cartagine. Episodio simmetrico a quello che troviamo a p.119:

Ivar chiese al re di concedergli come indennizzo per la morte del padre un'estensione di terra pari a quanta ne potesse contenere la più grossa pelle di bue. Presa dunque la pelle non ancora conciata Ivar la fece distendere quanto più fosse possibile. Poi la fece tagliare in una corda d'arco sottilissima e fece quindi separare vello da nerbo. Fece a quel punto spiegare la corda intorno ad una valle pianeggiante e, al di fuori di questa, fece tracciare le fondamenta per mura di cinta.

Come in tutti i testi di tradizione epica, dunque, si assiste tendenzialmente ad un atteggiamento frammentario, mai perfettamente coerente proprio perché il testo veniva arricchito in virtù degli incontri/scontri con le altre popolazioni sul continente. La Saga, come fa notare Marcello Meli, curatore dell'introduzione e della traduzione, è infatti di origine nothumbrica, area della quale si era stanziate le comunità scandinave venute in contatto con le genti preesistenti sull'isola. 
Il racconto si innesta sul ricorso a formule, ossimori, locuzioni, epiteti come elementi fondamentali del linguaggio poetico, volti ad un'agile memorizzazione e a tener vivo, anche a distanza, il legame e lo spirito di un mondo arcaico con i suoi Eroi e i suoi Dei.

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