"Estasi Culinarie" di Muriel Barbery


La domenica ha due imperativi: pigiama e spuntino letterario.


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A seguito del successo de L'eleganza del riccio, nel 2008 fu ripubblicato il primo romanzo di Muriel Barbery: Une gourmandise, edito in Italia con il titolo di Estasi Culinarie. Una scelta evocativa e, per me, azzeccata.

Si tratta di un romanzo agile, policorale, armonioso e avvolgente nelle sue voluttuose e sensuali descrizioni del cibo in tutte le sue forme e consistenze. Sebbene la trama sia semplicemente abbozzata e non particolarmente originale (il protagonista è un critico gastronomico di fama internazionale che, in punto di morte, porta alla memoria le esperienze più importanti della sua vita), tuttavia la scrittura è una vera e propria estasi di stile e di sensazioni con una ironica (e un po' affrettata) “morale” finale.
Tutti attendono la morte di Monsieur Arthens che, nella sua stanza situata nel signorile appartamento di Rue de Grenelle a Parigi, si lascia guidare dalle papille gustative per un ultimo viaggio fra sapori e fragranze. Ricorda l' iniziazione all'arte della cucina dove il cibo è esperienza mistica, arte, perfezione e dove, il piacere primordiale, insito nell'atto del mangiare, rappresenta un inno alla vita. In ogni capitolo di questo breve romanzo si scopre una nuova pietanza, e talvolta, voci narranti inedite; ciascun alimento evoca i momenti più semplici e importanti della vita, regalando emozioni palpabili ed olfattive. Le pagine dedicate al pane rappresentano quasi un atto religioso, uno spirituale connubio fra l'uomo e ciò che la natura produce.

Il pane, la spiaggia: due calori connessi, due attrattive complici, e ogni volta un mondo intero di gioie rustiche assale la nostra percezione. Sbagliamo a credere che la nobiltà del pane risieda nel fatto che basta a sé stesso e al contempo accompagna qualsiasi pietanza. Se il pane “basta a sé stesso” è perché è molteplice, non nel senso delle sue tante tipologie, ma per la sua essenza stessa giacché il pane è ricco, è vario, il pane è un microcosmo. In esso si incorpora un’assordante varietà, come un universo in miniatura che svela le sue ramificazioni nel corso della degustazione. L’assalto, che di primo acchito si scontra con la muraglia della crosta, dopo che ha superato questa barriera resta sbalordito dalla remissività che gli riserva la mollica fresca. È quasi sconcertante l’abisso che c’è tra la scorza screpolata, a volte dura come pietra, a volte semplice manto che cede ben presto all’offensiva, e la morbidezza dell’interno che si raggomitola nelle guance con carezzevole docilità. Le fessure della crosta sono come richiami al mondo campestre: sembrano solchi di aratro, e così ci troviamo a pensare al contadino sul far della sera, al campanile del paese, sono appena suonate le sette e lui si asciuga la fronte con il risvolto della giacca, fine del lavoro.



 Insomma, un libro da leggere piano, gustarsi morso dopo morso. Un elogio spassionato al cibo e alle sue contraddizioni, e una arguta, sebbene solo accennata, critica ad un uomo di potere che, per tutta l'esistenza, ha aspirato ad una raffinata complessità, ma che ha trovato, infine, il senso della vita proprio nella più quotidiana ed impensabile semplicità.
 

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